lunedì 2 giugno 2008

Barlume di saggezza!





Piatto come una tavola o percorso da terrificanti onde; verde cristallino o blu intenso; caldo come il fuoco delle tenebre o profondo e freddo come un iceberg: è il mare, culla della vita e risorsa indispensabile del nostro magnifico pianeta…
Quando Giovanni (Apocalisse 22,13), fa dire al suo Cristo: "Io sono il Primo e l'Ultimo, l'Alfa e l'Omega, l'Inizio e la Fine, l'Origine e il Punto d'arrivo", doveva, in qualche modo, aver capito che in natura esiste una sorta di "finalismo", di "ricapitolazione intelligente delle cose". Non era, la sua, l'esagerazione di un visionario, la boutade di un mistico. Questo processo, infatti, lo si riscontra nella vita in generale, nell'esistenza delle cose, nel corso dei processi storici...
La cosa su cui bisognerebbe riflettere è piuttosto un'altra, come mai il mondo animale non ha consapevolezza di questo finalismo? Se il processo è così importante, così universale, perché solo l'essere umano lo percepisce chiaramente o comunque è in grado di intuirlo? È come se tra l'alfa e l'omega vi fosse qualcosa di così peculiare da non essere percepito dal mondo animale. Gli animali vivono il processo in maniera riflessa, istintiva, non consapevole, come un aspetto intrinseco alla natura, da accettare alla stregua di un dato di fatto.
Spesso il prezzo che si paga a causa della propria istintività è molto alto. È certo un prezzo che aiuta a crescere, a capire il valore dell'educazione, a non ripetere gli errori, ma altrettanto spesso ci diciamo che sarebbe stato meglio aver evitato, sin dall'inizio, un'esistenza basata prevalentemente sull'istinto.
Vivendo d'istinto, gli animali pensano soprattutto alla propria sopravvivenza, per quanto la natura li abbia dotati dell'intelligenza necessaria a capire che il bisogno di sopravvivere è reciproco, anzi multilaterale, per cui la fine di una specie rischia fatalmente di compromettere l'esistenza di altre specie….
Un provvedimento saggio, finalmente si intravede in Nuova Zelanda.
Wellington, 08:37
NUOVA ZELANDA: DELFINI A RISCHIO, RESTRIZIONI A PESCA
Il governo neozelandese ha annunciato una serie di misure restrittive della pesca per proteggere i delfini di Hector e di Maui, alcuni tra i cetacei più rari al mondo e istituirà quattro nuove riserve marine per tutelare la specie minacciata. Gli scienziati stimano che negli anni '70 ci fossero 26.000 delfini nelle acque costiere dell'isola Meridionale della Nuova Zelanda. Ma ora la popolazione residua lotta per sopravvivere: si calcola che i superstiti siano circa 7.270 individui. Una volta i delfini di Hector lungo le coste erano numerosi ora vivono in pochi gruppi sempre più isolati. Ancora più difficile la situazione dei delfini di Maui, dell'isola Settentrionale, ’cugini' dei delfini di Hector, che rischiano l'imminente estinzione, con una popolazione di appena 111 esemplari rimasti. E le organizzazioni ambientaliste avevano più volte avvertito che, senza interventi immediati i delfini di Maui, si estingueranno nell'arco della prossima generazione. Il pericolo maggiore per i delfini di Hector e Maui deriva dalla pesca professionale e sportiva: questi mammiferi marini non sono, infatti, in grado di vedere le reti (reti fisse tenute ancorate vicino alla riva o in altura) e, se rimangono intrappolati, affogano in pochi minuti. Il governo neozelandese ha annunciato che, da ottobre prossimo, sarà vietato collocare le reti a strascico nelle acque costiere in cui abitualmente nuotano i delfini. "La decisione che abbiamo preso è stata difficile", ha detto il ministro della pesca, Jim Anderton, con chiaro riferimento alle perdite economiche per l'industria ittica commerciale, "ma le misure cercano di bilanciare la protezione di questi animali straordinari con l'attività' della nostra pesca commerciale e sportiva". Ancora non soddisfatti, tuttavia, gli ambientalisti: "È ancora solo la metà di quello che sarebbe necessaria", ha detto Barbara Mass di Care FOR Wild International.
ps:
Un’ economia che ignora e non considera i valori morali è un’economia menzognera. L’estensione della legge della non-violenza all’ambito dell’economia non significa niente di meno che introduzione dei valori morali come fattori da considerare nella regolazione del commercio internazionale...

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Personalmente, ritengo che gli esseri umani, siano gli unici che non hanno ancora capito il finalismo delle cose.
Gli animali basano la loro esistenza su di un empirica molto semplice, consumare il necessario alla propria sussitenza, e a quella della propria prole, e attacare gli altri, solo quando è in rischio la propria esistenza, o quella della propria prole.
Queste semplicissime regole permettono alla vita di scorrere su dei binari di rispetto e osmosi.
A nulla vale appellarsi alle doti intellettive "Alte" del genere umano, quando non siamo in grado di rispettare queste.

Anonimo ha detto...

Per legge di natura ogni animale nasce libero ed ha la possibilità di fuga davanti al predatore. Pertanto se l'uomo reclude gli animali e li uccide senza dare a questi alcuna possibilità di scampo va contro le leggi della natura.La vita è sacra in qualunque forma fisica si manifesti e chi disprezza il valore dell'altrui vita disprezza la diversità delle cose che sono la condizione stessa affinché la vita possa manifestarsi sulla terra.

Anonimo ha detto...

RISPETTO E CONSERVAZIONE DI TUTTI E DI TUTTO......QUESTA E' LA FORMULA VINCENTE! TUTTO IL RESTO E' IPOCRISIA...E' SOLO UN CERCARE SCUSE PER FARE UGUALMENTE CIO' CHE SAPPIAMO BENISSIMO NON SI DOVREBBE FARE. SPERIAMO BENE!!!

Anonimo ha detto...

Come diceva Kant, l’idea di una finalità del tutto non è oggetto di conoscenza e la pretesa di dimostrare tale finalità costituisce le pseudo-scienze della cosmologia razionale e, per certi aspetti, della teologia razionale.
Tuttavia, il finalismo,ancorché non dimostrabile risulta poi fondamentale all’agire umano se è vero che l’azione morale mira al raggiungimento di una perfezione che non è mai raggiungibile da un essere finito. Bisogna quindi presupporre (postulare, come diceva Kant) vicino alla libertà (non c’è azione morale senza libertà) anche l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio come termine ultimo (fine)di tutto. L’ordine dell’universo è, in un certo senso, necessitato a rintracciare in sé un fine (che però resta irraggiungibile sul piano della conoscenza).
L’agire della Natura nel suo insieme, d’altra parte, pare una miniera inesauribile di risorse per realizzarsi e sembra sfuggire ad ogni meccanicismo finalistico (un finalismo superiore continua ad esserci, ma non è tutto cosí semplice: come diceva Henri Bergson nella sua “Evoluzione Creatrice”:
“Che condizione necessaria dell’evoluzione sia l’adattamento all’ambiente non lo negheremo punto. È troppo evidente che, quando una specie non si piega alle condizioni di vita che le sono poste, sparisce. Ma altro è riconoscere nelle circostanze esterne forze con cui l’evoluzione deve fare i conti, altro vedervi le cause determinanti dell’evoluzione. Quest’ultima tesi è propria del meccanicismo. Essa esclude in senso assoluto l’ipotesi di uno slancio originario, cioè di una spinta interiore che porterebbe la vita, attraverso forme via via piú complesse, a destini sempre piú alti. Eppure questo slancio è constatabile; e un semplice colpo d’occhio sulle specie fossili ci mostra che la vita avrebbe potuto fare a meno di evolversi, o evolversi entro limiti molto ristretti, se avesse preso il partito, molto piú comodo, di anchilosarsi nelle sue forme primitive. Certi foraminiferi non sono mutati dall’epoca siluriana in qua, impassibili testimoni delle innumerevoli rivoluzioni che hanno sconvolto la terra; le lingule sono oggi ciò che erano nei tempi piú remoti dell’era paleozoica. La verità è che l’adattamento spiega le sinuosità del movimento evolutivo, ma non le sue direzioni generali, e tanto meno il movimento in se stesso. La strada che porta al villaggio è, sí costretta a salire le chine e discendere i declivi: essa si adatta alle accidentalità del terreno; ma queste non sono la causa della strada né le hanno impresso la sua direzione. Le forniscono in ogni momento l’indispensabile, il suolo stesso su cui essa si stende: ma, se si considera la strada nel suo insieme e non piú ciascuno dei suoi elementi, gli accidenti del terreno non appaiono piú che ostacoli, o cause di ritardo, perché la strada puntava semplicemente al villaggio, e avrebbe voluto essere una linea retta. Lo stesso vale per l’evoluzione della vita e le circostanze che essa attraversa: con la differenza, tuttavia, che l’evoluzione non traccia una strada unica masi impegna in varie direzioni, senza peraltro mirare a scopi, e che resta inventiva nei suoi stessi adattamenti.
Ma, se l’evoluzione della vita è ben altro che una serie di adattamenti a circostanze accidentali, essa non è neppure la realizzazione di un piano. Un piano è dato in anticipo, è rappresentabile, prima di essere realizzato nei particolari. La sua esecuzione completa può essere rimandata a un avvenire lontano, e perfino procrastinata indefinitamente: la sua idea non cessa per questo d’essere formulabile fin da ora in termini dati. Per contro, se l’evoluzione è una creazione sempre rinnovata essa crea a mano a mano non solo le forme della vita ma anche le idee che potrebbero permettere a un’intelligenza di capirle, i termini che potrebbero servire a esprimerle. Ciò significa che il suo futuro eccede i limiti del suo presente e non potrebbe disegnarvisi in idea.
Questo il primo errore del finalismo. Esso ne porta con sé un altro ancor piú grave. Se la vita realizzasse un piano,essa dovrebbe manifestare un’armonia tanto piú alta quanto piú avanza. Cosí la casa rivela sempre meglio l’idea dell’architetto a mano a mano che le pietre si aggiungono alle pietre. Al contrario, se l’unità della vita si trova tutta interanello slancio che la spinge sulla strada del tempo, l’armonia non sarà innanzi ma indietro. L’unità viene da una vis a tergo: è data all’inizio come un impulso, non posta alla fine come un punto d’attrazione. Comunicandosi, lo slancio si divide sempre piú. A mano a mano che progredisce la vita si sparpaglia in manifestazioni che la comunanza di origine renderà senza dubbio complementari, sotto certi aspetti, ma che non cesseranno, per questo, di essere di essere antagoniste e incompatibili tra loro. Perciò la disarmonia tra le specie andrà accentuandosi. E qui non ne abbiamo enunciato che la causa essenziale; per semplificare, abbiamo supposto che ogni specie accogliesse l’impulso ricevuto per trasmetterlo ad altre, e che, in tutti i sensi in cui la vita si evolve, la propagazione abbia luogo in linea retta. In realtà, vi sono specie che si fermano e altre che invertono il cammino. L’evoluzione non è soltanto un movimento in avanti: in molti casi la si vede segnare il passo, piú spesso ancora deviare, o tornare indietro. È necessario che sia cosí, come piú in là mostreremo: le stesse cause che dividono il movimento evolutivo fanno sí che la vita, evolvendosi, si distragga sovente da sé, fissandosi sulla forma che ha, un momento prima, prodotta” .
Dunque un finalismo c’è, ma non è di tipo meccanico, è un finalismo trascendente che rende armonico l’universo senza renderlo prigioniero e gli consente di oltrepassare lo stesso limite della morte, come Bergson, sepre nell’ “Evoluzione creatrice” afferma:
“Come il minimo granello di polvere è solidale coll’intero sistema solare e viene con esso trascinato dall’indiviso moto di discesa che costituisce la materialità, cosí tutti gli esseri organici, dal piú umile al piú perfetto, dalle prime origini della vita sino ai tempi nostri, e in tutti i luoghi e i tempi, non fanno che rivelare ai nostri occhi un’unica spinta, inversa al movimento della materia e, in sé, indivisibile. Tutti gli esseri viventi si tengono uniti, e tutti cedono alla stessa formidabile spinta. L’animale pone il suo punto d’appoggio sulla pianta, l’uomo poggia sull’animalità, e l’umanità intera nello spazio e nel tempo, è come un’immensa armata, che galoppa al fianco di ciascuno di noi, avanti e dietro noi, in una carica travolgente, capace di rovesciare tutte le resistenze e di sorpassare moltissimi ostacoli, forse anche la morte.”
A questo punto c’è da chiedersi come “educare” al rispetto di questo organismo, dietro il quale si cela Dio.
La scuola, in genere, ma in modo precipuo quella italiana versa in uno stato di pietosa decadenza,si scambiano teorie meccanicistiche per verità scientifiche, ancorché non dimostrabili con prove di laboratorio, si insegna la superficialità, si indulge all’ignoranza, al pressappochismo, si scambia il tornaconto a breve durata dello studente sfaticato con il suo utile, si scambia il possesso di un diploma con il possesso della cultura e cosí si schiaccia a tavoletta sul pedale dell’acceleratore verso una meta che è l’indifferentismo morale, l’assenza di punti di riferimento, l’egoismo mascherato da solidarismo, ecc.
Non resta che riflettere un po’ su quanto scriveva un secolo fa il grande narratore giapponese Natsume Sôseki nel capitolo 6^ del suo capolavoro “Il Signorino”:
“Educare non vuol dire semplicemente impartire un’istruzione, significa anche inculcare nozioni di nobiltà, di onestà, di elevatezza spiriuale, e al tempo stesso debellare vizi come la meschinità, la superficialità e l’indolenza. Se per timore di una reazione, di nuove e più gravi turbolenze dovessimo adottare una poltica di temporeggiamento, non so quando riusciremo a correggere queste cattive abitudini. Ora è esattamente a questo scopo che siamo qui, per fare piazza pulita delle cattive abitudini. Se perdiamo di vista questo obiettivo, tanto valeva che facessimo un altro mestiere."


Vittorio A.F.M. Bertolini (da: "Piccole Rioflessioni Filosofiche")

Esteban ha detto...

i uomini bobbiamo capire la velocità della natura. Se sorpassiamo quella velocità, più tardi o più preste ci mancherà natura. Saluti a mia cara amica Rosy

Anonimo ha detto...

Moi aussi je suis préocupé par la défense de l'environement..pi t'aime les dauphins

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